sabato 16 maggio 2009

L'OBESA



L'audio e' stato cancellato dallo spazio su Splinder

Le ho domandato come stava con l'aria di chi s'informa d'un malato grave.

Ha risposto pallida: "Se mai fosse incominciato, con l'amore è finita!", devastata dal demone dell'abbandono, che tra tutti è il più cattivo. E mi procura uno strappo alla fodera del cuore.

Io passo per una che sa radunare le proposizioni, ma in questi casi non parlo mai.

Ho lasciato che si sfiatasse. E' enorme, grande, piatta, una gigantessa, una spaventapasserotti!

E sì che ai tempi del liceo eravamo due gemelline nervose e scheletriche. Facevamo chilometri in bici, m'ha insegnato a mettere il reggicalze e io sapevo fare imitazioni perfette.

Siamo giunte su sponde opposte: io sono sempre più ottimista, la mia vita migliora, non la cambierei con quella di un mese prima, lei si barrica, si dibatte, strattona i vincoli e mangia, mangia come chi ha rimorsi.

E' stata lasciata, che è già duro, per ragioni moralisticoidi: non ha detto al marito dell'aumento di stipendio, andato tutto per le abbuffate, anche per colpa di quella volta al ristorante, mentre lui telefonava lei gli ha mangiato metà del suo dolce e poi ancora alle ultime elezioni ha votato comunista, insomma se le ragioni non sono queste, sono molto simili, molto, molto simili.

E' maledettamente sempre così: le alleanze cadono, l'amore va a ramengo perchè una mangia una bistecca il venerdi santo quando si è sposate a dei moralisti: le gioie carnali, infatti, non sono il loro forte.



I moralisti mi ricordano un mio parente che diceva di uccidere il nostro cane che era vecchio e cieco. Io pensavo che quel cane era contento di vivere anche così.

Sì, i moralisti valutano sempre per gli altri.

I moralisti, la morale, i buoni cristiani un esercito contro un popolo di donne con la faccia su d'un piatto. Forse tutte le bulimiche hanno un padre che le fa gemere di vergogna.

L'unica morale che ho amato è quella di Nietzsche, "Al di là del bene e del male" ed anche "L'Etica" di Spinosa.

Lei affonda e s'aggrappa a tutto ciò che è commestibile.

Ah, le avevano promesso ben altro nel venire al mondo! I depliants promettevano una ben altra crocera! Mari, monti, sole, acqua calda e fredda, balli in costume..ma per un peccato capitale, la crapula, rimane fuori dal paradiso.




Avrei voluto tirarla su da terra, strapparla come una carota, anche se è una scassabilance, come da bambina chiamavo le grassone e ricordo che pensavo sempre se avessero avuto un ippopotamo fra i loro ascendenti.

Ora so che gli esseri più mastodontici sono i più vulnerabili, un fatto di bersaglio migliore, credo.

Ad accarezzare certi esseri minuti si rischia di rimanere monchi.

Avevo il cuore così gonfio che mi meravigliavo che non apparisse una grossa sporgenza a sinistra del petto.

Diceva che ora si alza anche di notte per mangiare e che arriva a succhiare i minestroni congelati.

All'improvviso le ho detto: "Tuo marito non andrebbe mai alla messa della domenica in tuta, vero?" Lei ha detto di sì e che era il tipo che non avrebbe mai rinunciato a controllare il resto dal salumiere, che era anche uno che crede che nessuno si ravveda davvero se non si amputa una mano.

Siamo scoppiate a ridere. In genere non si ride ai funerali. Invece se non si ride quando si è nella merda, quando? Quando va tutto bene? A che scopo? La risata è fatta per le sciagure.

Ci sono delle volte che la risata è sottile, di testa per situazioni nobili ed eleganti, altre grasse e crasse come panini di ciccioli. Questa era una di queste.Una gran sghignazzata all'inizio e poi una marea montante. Ci siamo sbattute le mani sulle cosce. Abbiamo ululato, gemuto, pianto. Un suicidio.

Rideva, così gonfia e imbottita di sensi di colpa! Ma, nonostante tutti le puntino il dito contro il muscolo del cuore, il più tenero di tutti, il suo pentimento non lo avranno mai.
L'OBESA



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Le ho domandato come stava con l'aria di chi s'informa d'un malato grave.

Ha risposto pallida: "Se mai fosse incominciato, con l'amore è finita!", devastata dal demone dell'abbandono, che tra tutti è il più cattivo. E mi procura uno strappo alla fodera del cuore.

Io passo per una che sa radunare le proposizioni, ma in questi casi non parlo mai.

Ho lasciato che si sfiatasse. E' enorme, grande, piatta, una gigantessa, una spaventapasserotti!

E sì che ai tempi del liceo eravamo due gemelline nervose e scheletriche. Facevamo chilometri in bici, m'ha insegnato a mettere il reggicalze e io sapevo fare imitazioni perfette.

Siamo giunte su sponde opposte: io sono sempre più ottimista, la mia vita migliora, non la cambierei con quella di un mese prima, lei si barrica, si dibatte, strattona i vincoli e mangia, mangia come chi ha rimorsi.

E' stata lasciata, che è già duro, per ragioni moralisticoidi: non ha detto al marito dell'aumento di stipendio, andato tutto per le abbuffate, anche per colpa di quella volta al ristorante, mentre lui telefonava lei gli ha mangiato metà del suo dolce e poi ancora alle ultime elezioni ha votato comunista, insomma se le ragioni non sono queste, sono molto simili, molto, molto simili.

E' maledettamente sempre così: le alleanze cadono, l'amore va a ramengo perchè una mangia una bistecca il venerdi santo quando si è sposate a dei moralisti: le gioie carnali, infatti, non sono il loro forte.



I moralisti mi ricordano un mio parente che diceva di uccidere il nostro cane che era vecchio e cieco. Io pensavo che quel cane era contento di vivere anche così.

Sì, i moralisti valutano sempre per gli altri.

I moralisti, la morale, i buoni cristiani un esercito contro un popolo di donne con la faccia su d'un piatto. Forse tutte le bulimiche hanno un padre che le fa gemere di vergogna.

L'unica morale che ho amato è quella di Nietzsche, "Al di là del bene e del male" ed anche "L'Etica" di Spinosa.

Lei affonda e s'aggrappa a tutto ciò che è commestibile.

Ah, le avevano promesso ben altro nel venire al mondo! I depliants promettevano una ben altra crocera! Mari, monti, sole, acqua calda e fredda, balli in costume..ma per un peccato capitale, la crapula, rimane fuori dal paradiso.




Avrei voluto tirarla su da terra, strapparla come una carota, anche se è una scassabilance, come da bambina chiamavo le grassone e ricordo che pensavo sempre se avessero avuto un ippopotamo fra i loro ascendenti.

Ora so che gli esseri più mastodontici sono i più vulnerabili, un fatto di bersaglio migliore, credo.

Ad accarezzare certi esseri minuti si rischia di rimanere monchi.

Avevo il cuore così gonfio che mi meravigliavo che non apparisse una grossa sporgenza a sinistra del petto.

Diceva che ora si alza anche di notte per mangiare e che arriva a succhiare i minestroni congelati.

All'improvviso le ho detto: "Tuo marito non andrebbe mai alla messa della domenica in tuta, vero?" Lei ha detto di sì e che era il tipo che non avrebbe mai rinunciato a controllare il resto dal salumiere, che era anche uno che crede che nessuno si ravveda davvero se non si amputa una mano.

Siamo scoppiate a ridere. In genere non si ride ai funerali. Invece se non si ride quando si è nella merda, quando? Quando va tutto bene? A che scopo? La risata è fatta per le sciagure.

Ci sono delle volte che la risata è sottile, di testa per situazioni nobili ed eleganti, altre grasse e crasse come panini di ciccioli. Questa era una di queste.Una gran sghignazzata all'inizio e poi una marea montante. Ci siamo sbattute le mani sulle cosce. Abbiamo ululato, gemuto, pianto. Un suicidio.

Rideva, così gonfia e imbottita di sensi di colpa! Ma, nonostante tutti le puntino il dito contro il muscolo del cuore, il più tenero di tutti, il suo pentimento non lo avranno mai.
SOPRA&SOTTOMESSI

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QUANDO un LUPO si UNISCE ad UN LEONE


"Giunto al patibolo, il boia lo preleva, lo trascina, facendo leva con la corda, lo inforna [infila nella macchina], mi servo qui di termini gergali, poi lascia andare la mannaia. Il pesante triangolo di ferro si stacca a fatica, cade ballonzolando nei suoi binari e, ecco che comincia l’orrore, taglia l’uomo senza ucciderlo. L’uomo getta un grido di terrore. Il boia, sconcertato, rialza la mannaia e la lascia ricadere. La mannaia squassa il collo del paziente per la seconda volta, ma non lo tronca. Il paziente urla, la folla pure. Il boia issa ancora la mannaia, sperando meglio dal terzo colpo. Per niente. Il terzo colpo fa zampillare un terzo rivolo di sangue dalla nuca del condannato, ma non fa cadere la testa. Per farla breve. Il coltello risalì e ricadde per cinque volte, per cinque volte macellò il condannato, per cinque volte il condannato urlò sotto il colpo e scosse la sua testa viva chiedendo grazia! La gente indignata prese delle pietre e si mise facendo giustizia a suo modo a lapidare il miserabile boia. Il boia fuggì sotto la ghigliottina e si acquattò sotto i cavalli dei gendarmi. Ma non siamo alla fine. Il suppliziato, vedendosi solo sul patibolo, si era raddrizzato sulla pedana e lì, in piedi, spaventoso, grondante sangue, sostenendo la sua testa mezzo tagliata che pendeva sulla sua spalla, domandava con fievoli grida che qualcuno gliela staccasse. La folla, piena di pietà, era sul punto di sopraffare i gendarmi e di venire in aiuto di quel disgraziato che aveva subito per cinque volte la sua pena capitale. In quel frangente un aiutante del boia, un giovanotto di vent’anni, salì sul patibolo, disse al paziente di girarsi per essere slegato e, approfittando della posizione del moribondo che gli si affidava fiducioso, gli salta sulla schiena e si mette a tagliargli faticosamente quel che gli restava del collo con un coltello da macellaio. Questo avvenne. Questo si vide, Sì." V. Hugo
Grazie DIAKTOROS e tre baci sulla guancia destra.


Ci sono le prede e i predatori. Avete presente il leone? Così forte che si muove poco, così forte da essere pigro. Così forte da non essere frenetico, da non fare mai fatica. Come l'aquila imperiale, un'altra pigra, vola solo quando le correnti ascensionali sono favorevoli.

Animali violenti, carnivori, sanguinari.

Diverso dalle lepri, graziose bestiole che si inseguono fino a sfinire, una dietro l'altra, sembrano che giochino e quando pensi che non si assalteranno mai, in un colpo scoppia la lotta fino alla fine della loro vita. Calci spaventosi, salti altissimi, un'ira furibonda di due creature mansuete. Ma non sono mansuete: una volpe sbrana una lepre.

Le tortore, avete presente quegli uccelli simbolo dell'amore, anzi di più, della pace? Quando Lorenz se ne andò per qualche giorno, al ritorno trovò una tortora in un angolo della gabbia con la nuca, il collo e il dorso fino alla coda aperta in un'unica ferita. L'altra colomba continuava senza posa a frugare col becco nelle ferite. Era stanca ed aveva sonno, gli si chiudevano gli occhi, ma il gusto della violenza era tale e tanto che preferiva dilaniare che addormentarsi. La colomba ferita tentava di sollevarsi e di reagire, ma l'altra proseguiva implacabile il lento e micidiale lavorio, ferocemente disinibita, oscena.


Martirizza anche Bambi, il capriolo, una bestia immonda che sopprime appena può pure i suoi simili. Pare che i caprioli domestici uccidano più dei leoni e delle tigri. Se si avvicina un tenero capriolo, lo fa lentamente con i suoi occhioni dolci, incede piano per meglio infilarvi le corna in pancia. Lorenz dice che se vedete un capriolo che vi viene incontro, lezioso e grazioso, conficcate subito un colpo violento sul suo muso, lateralmente, prima che lui vi uccida.

Ora amici, pensate a due lupi grossi, selvaggi, rabbiosi, maschi, con le armi per uccidere. Si affrontano, i musi si raggrinziscono, si rivoltano, le labbra si increspano, mostrano i denti, le zampe grattano per terra e scoppia la guerra tra gli urli.

Finché arrivano alla fine immobili, uno sopra e l'altro. Chi vince ha il muso vicinissimo al collo dell'altro che volge la testa piano altrove. Offre la parte più vulnerabile, la vena giugolare, tenera e morbida. Un morso è mortale. Mi commuove chi potendo e volendo ferire, non può finire l'avversario, ma ancora di più chi affida la propria vita alla correttezza di un altro: ha fede, ha fiducia, si fida.

Il lupo più forte farà scorrere il tempo, ha una pazienza cosmica, è pieno di adrenalina, è rabbioso, vorrebbe ucciderlo, si scrolla, si scuote, si distrae. Ha una voglia grande di azzannarlo, ma non può. Non è etico. E non lo farà.

Gesù disse: se qualcuno ti dà uno schiaffo, offrigli l'altra guancia, non perché te ne dia un altro, come dicono i masochisti, ma per non fartene più dare.

Poi ci sono gli sfigati, quelli che non si capiscono, come il tacchino, grande, grosso e ciula, che offre il collo al pavone quasi subito perché non ama la lotta, soprattutto con uno più piccolo che gli svolazza attorno. Ma il pavone non conosce il codice d'onore e non capisce la resa del tacchino e gli squarcia la gola.

Amici, io ho solo paura dei deboli e degli stupidi. Sono come un lupo. Un'eroe omerico: rispetto il codice guerresco dei cavalieri medioevali, risparmio chi si arrende. Ma in genere mentre festeggio la vittoria, l'altro se la svigna.

Quando ero piccola ritagliavo la buccia di un'arancia e mi facevo una dentiera. Se stavo zitta era perché mi mancavano gli epiteti, ma riuscivo sempre a dire sottovoce a qualche compagno qualcosa di simile: tu per tua madre sarai una meraviglia, ma a me fai senso!” Se qualcuno mi diceva che ero carina, rispondevo sempre: Carina un cazzo!

Ladiposo è un leone, invece, si gonfia in caso di necessità, ma in realtà è un turista vestito da villeggiante in questa vita: non ha la nozione del dramma, la vita gli sembra facile e permanente. Ha la certezza assoluta di ritrovare intatto, l'indomani, la felicità di oggi. Obnubila che tutto erode, tutto taglia la corda, tutto scorre. Smantellamento profondo. “Io ho nemici? “ -dice- “ Nemici? Va'! E perché non li facciamo amici?” , un fratello, il Feroce.
"Definizione: un nemico è un signore che vuole farti male! “ dico, ma, poi, penso a uno qualsiasi che guizza e anguileggia tra le muscolose mani del Mostruoso! Nessuno può farcela con lui, è una poltrona ginecologica, è una piovra gigante, potrebbe aprirti le natiche come una carriola e spegnerci il suo sigaro.


Quando vende, lo sento: “Ho pescato almeno due chili di arborelle con il verme di fango. In definitiva, per l'alborella non c'è niente di meglio del verme di fango. La larva di mosca non rende così. Forse quando minaccia il temporale. Ma il verme di fango è più gustoso, non dimentichiamo che l'alborella è capricciosa...” nessuno osa dirgli : “Hai finito di rompere i coglioni?”

Ma non faremmo mai del male inutilmente, non azzanneremmo mai i pentiti, i deboli e gli sfigati.

Nella striscia di Gaza ci sono solo colombe in lotta, dei deboli, degli sfigati, dei falliti, des imbecilles che si scannano; se fossero lupi, feroci lupi, avrebbero stabilito chi è il più forte e avrebbero chiuso la faccenda col minimo comun denominatore di dolore.

Le madri colombe piangono facendo vedere alle telecamere che il loro male è grande, si buttano per terra e rappresentano quadri di madonne strazianti, ma se potessero, ucciderebbero con le loro mani i figli degli avversari. Tutti deboli, tutte prede, tutti erbivori!
Quegli omaccioni grossi, barbuti e neri sono come le libellule, uccidono creature della loro stessa specie e di uguale grandezza, anche quando dispongono di altro cibo.

Sono truppe arabe-pontifice, “Diobi e Diobà”, quando sono sfinite e c'è il rischio di una tregua, viene un capo religioso a gettare benzina sul fuoco con un pippone morale e loro riprendono. Sparano ubriachi di qualcosa, sanno che se ritornano indietro trovano la nonna peggio del loro nemico: spara a loro in fronte una mestolata.



I guerrafondai amano meravigliose canzoni, con parole nobili, profonde ed evocatrici: I love you, please, kiss me, provate a ripetermelo undici volte di seguito, senza cambiare tono, aggiungeteci un po' di singhiozzo tipo strazio, una buccia di orgasmo, sospiri a cucchiaiate e avrete i canti arabi: strazianti, striscianti, struscianti. S'impigiamano, s'investagliano, s'impantalonano, s'impantofolano, s'insciarpano per andare alla guerra con aria in bemolle, molto, ma molto molle. Vogliono i bis e anche i trissamenti.

Soluzione: quando stanno per assaltare la statua dell'ultimo colonnello capro-espiatorio e urlano: “Ah, disgraziato! Sporcaccione! Fascista! Vandalo! Sciacallo! Bruto! Assassino! Maiale! Pattumiere! Mostro! Fornicatore! Selvaggio! Cosacco!” per fermarli di botto e commuoverli, come Frankenstein quando sente il violino, basta mandare l'aria della Meringa Band più dolce del dolce e vedrete che tutti piangeranno: si turbano dall'interno, iniziano ad amarsi, dopo un po' hanno i capelli incollati dall'amore, lo sguardo a fiamma, il pelo del petto iridato e, sotto la pancia buddista, il burlone è rivolto al Polo Nord. Ecco come sottometti i casanova dei deboli! O con il viagra o con lo smielo! Macchè cannoni! Montagne di kalashnikov! Zucchero, amici, pacchi spaccati, sventrati sbrindellati di zucchero, devi farli camminare nello zucchero, respirare polvere di zucchero, farli diventare farinosi, mandorlati, pistacchiati, biscottati!

Se avessi tempo cercherei per voi, fratellini, un pezzo di Victor Hugo che descrive una decapitazione.* (* è una lettura giovanile e non ricordo dove l'ho letta, a chi me la trovasse darei un bacio e, naturalmente, la pubblicherei con tanti grazie !)

Vi lascio, invece, con una dichiarazione del dottor Frederic Gartener che parla della ferocia di questi uomini-topo che praticano la decapitazione: “Subito dopo la testa fu staccata e cadde nel cesto, io la presi in custodia. L'espressione del viso rimase quella di un'estrema sofferenza, per parecchi minuti dopo la decapitazione. Apriva gli occhi e anche la bocca, continuando a boccheggiare, come se volesse parlarmi. Non c'è dubbio che il cervello era ancora attivo... Il suo corpo decapitato, legato ad una panca con una cinghia, era scosso da convulsioni continue che duravano dai 5 ai 6 minuti, indicando, sì, una gran sofferenza...”
lunedì, 09 febbraio 2009
PROIBITO L'INGRESSO!


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Non Je Ne Regrette Rien!

Vietato ai minori

(altamente diseducativo)

Raggi

"Tutto è ventaglio.

Fratello: apri le braccia,

Dio è il punto."

Garcìa Lorca



E' scoppiata una guerra.


I fatti: approfittando che non ho un bavaglio, ho detto in un altro sito: “Quando voglio sapere come la pensa Dio, chiedo a me stessa.”


"Non essere blasfema! L'umiltà è quello che rende davvero profonda e vera una regina, ricordalo!”



E' seguito un istante di silenzio che è durato più di un minuto per rendere omaggio ai morti.


Quando mi ha visto, ha tossito come in chiesa durante un funerale d'inverno.


"Samuela?”, ha deglutito, il rumore dei fessi!, come se inghiottire saliva ricarichi il cervello.


"Sìdirebbe”, io.


"La fetenzia della vita dare linee armoniose ai peggiori soggetti! Rendere elegante una persona destinata al male!“ Ma dai! Non dirmi che hai notato i miei capelli striati, la bocca che scintilla, il tamburo del pancino come un orologio svizzero? Sì, bisogna ammetterlo sono quasi graziosa, incito alla collezione.


Invece io non ve lo descrivo perché vomitereste sui mocassini.


Certe volte vedo come una tivù sregolata: piena di linee trasversali e di segni tremolanti. Ma non sono io che non funziono. Ho, quindi, visto tutti i suoi resti e pensare -ho pensato- che quella roba è vivente.


E' stato come avere a disposizione solo un bicchierino da liquore di ossigeno, non trovavo più il modo di respirare, vuoi guardare nel cassetto del cruscotto, che non l'abbia dimenticato là? A questo livello di uomo non si potrebbe neanche parlare di eutanasia in caso non stia bene. Non è un rivale di Mister Muscolo e non è il Gonfio, che ha un cucciolo di toro per ogni braccio.


Abbiamo sospirato: la vita è fatta di attimi di respiro, uno dopo l'altro, come pietre di un guado. Le pietre finiscono. E cadi sotto. Avanti il prossimo!


Pentitissima di essergli davanti, mi sono detta: Questa calamità dove me la metto? La passo a chi? Lo avrei voluto scostare come si scosta un cane cattivo: Parleremo un'altra volta a mente fresca, eh?, ora smontiamo il tendone, disperdiamoci nella natura, dài, non sciupiamo la nostra bella gioventù! Ma nella sua mente c'è solo la besciamella e i funghi secchi. Lo scrivo, lo persisto e lo firmo.


Prevedevo catastrofi raccapriccianti: il mio antagonista è uno sempre pronto a tutti gli eroismi per cercare di meritarsi la croce di guerra. In più nella zona ci sono altri individui cattivi.

Quindi posso scegliere tra puntare la plafoniera da blocco operatorio su questo strano accessorio o andarmene. Ho scelto la seconda: “Contiamo fino al tre, al tre riattacchiamo, ok?” Allora conto: ”Uno, due, tre...”


Ma lui è telescopico, un treppiedi, un'antenna che si allunga, tiri e ne esce di roba!, fuori da se stesso, un cobra: “Tu scrivi il blog, samuelasalvottisplinderpuntocom, uno d'effetto, d'impatto, certo, ma pieno di castronerie!”, col suo indice a salsiccia.


Questo tipo di scrittura, la mia, ha un non so che (ma troverò) che non piace alle donne e agli uomini come lui: ai tipi languidi, quelli che fanno l'amore con lo sguardo su una stampa antica e, se non li si prende a sberle, parlerebbero sempre in terza persona.


Maria, scaltrisci il cervello! Non sono il tuo bastone bianco! Devi guardare cose nuove! Leggere certe tipe che scrivono è come se la scrittrice masticasse la mia costata prima di darmela! Detesto essere trasportata a braccia tese da un capo all'altro del post.


Amo la lealtà e la durezza, invece la letteratura di certuni è molle e unta, talmente unta che prende fuoco subito.


Tutti usano le stesse parole, ma alcuni le mettono assieme in maniera diversa, le usano in maniera diversa. Se il signor Gustave Eiffel non avesse riunito tutto quel ferro in quel modo il suo Meccano non sarebbe su Wikipedia.


Gustave faceva solo ponti e viadotti, ma poi un giorno gli viene in mente che invece di unire due rive, poteva fare il ponte tra la terra e le nuvole. Ora tutti vanno a fotografare queste 7.175 tonnellate di putrelle. Fuori da metafora: la mia è ferraglia letteraria, aggettivata da solidi bulloni.


Non è rabbia quello che provo davanti a lui, è... sto cadendo in crisi da vocabolario, io, la signorina neologista! Purtroppo bisogna sempre attingere al materiale tradizionale. Dunque quello che provo non è rabbia, ma... diverso! Ecco, sì, diverso, non c'è modo di esprimerlo con più forza. Ciò che descrivo non è mai stato detto prima. Quindi dovete ammettere, amici, che è diverso: un mix tra irritazone e impotenza: “Dio, se c'è, ha il senso dell'umorismo, mio buon Pio de Piis! Anzi, ride con noi, ci puoi giurare!”


M'ha dartagnato all'improvviso: “Pretendo rispetto!”.


Sarebbe stata chiusa la faccenda, ma davvero queste due parole me l'hanno riaperta. Io sono una lupa, lui è un crotalo, il più velenoso serpente del mondo, il suo morso è mortale all'istante, per salvarsi bisogna iniettarsi l'anti-veleno prima del morso. E' l'unico animale, insieme alla suocera e alla zanzara di palude, che attacca gli esseri umani. Un'altra proprietà (trovi l'elenco completo nella Rivista dell'Immobiliere) è di poter saltare: non posso schiacciarlo con i miei tacchi a spillo, come la Madonna col serpente: neanche ballando la rumba ci riusciremmo.


"Pretendi? Ehi, amico, ma non sai che il rispetto è una conquista? Ma non sai che il rispetto deriva direttamente dalla stima? Sei proprio un pretino: la fede a priori sganciata dalla vita! Un sentimentalismo che va e viene a botte e che non ha fondamenti.”

"Il mondo va male perché c'è gente come te, che non fa il suo dovere di donna, madre, moglie!”, con le sue labbra color emorroidi.

Ha la faccia del cercatore-che-ha-trovato-prima-di-cercare.

Questi Puntatorididito hanno un grande disprezzo per la donna, per i gay, i comunisti e i ricchi felici, ci sono dentro quasi tutta. Senza tergi né versare: “Giovanotto, io sono un'onesta cittadina che tu vorresti privare della sua libertà. Per questo ho diritto alla legittima difesa, non sei il Papa che per lavoro fa il burattinaio, che per mestiere fa domande e ventriloqua le risposte. Lui, sì, può fare la voce fuori campo. Ma tu?”

Io amo le situazioni assurde, ma non quelle perdenti.

Poiché ero sicura di non essere capita da bambina, l'unico modo per fermare gli altri bambini era far loro uno stretto bondage, mettermi davanti alla mia vittima, poi, e dettagliare bene le mie idee. Poi lasciarlo alla sera andare a piangere dalla mamma.

Un episodio della mia infanzia è stato per me micidiale. Mia madre mi mandava ad ordinare la bombola del gas da un signore rozzo e sbrigativo.
Io impiegavo lunghi minuti per spiegare che volevo una bombola del gas di 10 kg, perché ero un po' afasica. Un afasico è colui che apre la bocca e non si sa se per mangiare, sbadigliare o parlare (per fortuna che la forza dei grandi uomini d'affari è la calma, si affrettano con lentezza: non hanno tempo da perdere e allora se lo prendono: parlo, quindi, ora piano e dettagliato.)

Allora ho scritto l'ordine all'interno di una carta di un cioccolatino col cioccolatino dentro per consolarlo della fatica. L'uomo si è piegato su quella minuscola bambina, urlando cosa volessi, ha preso il cioccolatino dalla mia manina e ha letto ridendo, ridendo e ancora ridendo. Se fossi stata colpita da mille frustrate soffrivo meno.

Gli avrei fatto il segno di piegarsi e, una volta che mi porgeva l'orecchio, glielo avrei mozzato in un solo colpo, di netto, lo avrei raccolto tra il sangue e gli avrei cacciato la sventola scollata nella tasca superiore sinistra della giacca: “Spero bottegaio che tu non sia mancino, perché sarebbe imbarazzante al telefono!” Avviso tutti di non provarci perché questo tipo di operazione può mandare 'ad patres', senza contare che poi il berretto cade sempre sulle pupille.

Non vorrei farvi cadere dalla sedia davanti al monitor, ma ho preso il mio interlocutore-inquisitore gli ho tolto le braghe e gli slip e l'ho legato seduto a culo nudo su una sedia di legno dal fondo forato come quelle di Luigi XIV quando il signor Re spingeva in presenza della corte. Legato ad una comoda mi prendo tutto il tempo che voglio. Ti imbocco e evacui senza separarci per giorni e giorni.

"Per sei mesi ti spiego le mie idee ben bene. Cattolico, lasciati andare, non lottare, diventa una terra arabile, diventa umano, così facciamo prima!”

Insomma non potete immaginare la serietà delle mie fantasie. Ho messo un'infinità di gente sulle comode a cui, addirittura, preparavo cibi elaboratissimi: fegato d'oca con Lugana rosée, galletto Vallespluga, accompagnato da un fresco Chambertin e costatina di figlio di vacca su un fondo di puré. La bocca non è straca se non sa de vaca: consigliavo un Camembert svizzero, molto morbido che odora di mutanda contadina. Quanto al dessert, torta di pere ricoperta di cioccolata calda da farci una dolce violenza. Caffè e Rum, non il torcibudella di camionista, buono per lavare il portone prima di dipingerlo, ma un'anzianotto di 50'anni.

(Io sono felice solo con una bistecca, patate fritte e una mela golden, innaffiato da un bicchiere di Bonarda.)

Ecco, ben pasciuto e libero da bisogni impellenti, il tristo figuro mi avrebbe ascoltato, senz'altro, senza dubbio e senza fallo. “Amico, -lo tracheotomo-, c'è un tempo per tutto, come dice la mia nonna, ti rimbrago solo quando tu mi diventi amico d'infanzia”.

Un'altra immagine che mi calma è mettergli la cintura di castità: qualcosa, cioè, che inchioda contro i montanti. La chiavettina ben nascosta, l'avrei liberato dalla costrizione alla fine delle mie trasmissioni.

Direi al bianco oserei dire slavato omino alla fine: “Spero che il cibo sia stato di tuo gradimento, sono spiacente di averti malmenato, io sono contraria alla violenza, tuttavia in certe circostanza è ancora insostituibile (la violenza). La disprezziamo ma ricorriamo a lei.”

Inzaccherato di crema al cioccolato sul naso da tucano m'avrebbe detto, dopo sei mesi, ormai riconciliato: “Di niente, mia buona e cara, nonché bella, Samuela”.

Allora lo lascerei andare, libero e felice, con la fava al vento, come quelle belle vacche che rientrano dagli alpeggi dondolando la campana.
FELICE, COME CON UNA DONNA



"Nelle azzurre sere d'estate, me ne andrò per i sentieri,
punto dalle spighe, calpestando l'erba tenera:
sognando, ne sentirò ai mie piedi la freschezza.
Lascerò che il vento bagni la mia testa nuda.


Non parlerò, non penserò a nulla:
ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo,
attraverso la Natura, felice come con una donna.”

RIMBAUD



Sono una delle poche donne al mondo che ha un amico vero. Lo so che tutte hanno tanti amici, ma se poi fanno un po' di pulizia, quando hanno buttato via metà carico, tutte scoprono che avevano in magazzino solo gente che vuole far tric e troc da anni con loro, uomini che arrivano all'incandescenza, al massimo grado di fusione, al punto di rottura per lunghi parossistici anni tirando sempre la cinghia e trasformano il biscotto in pangrattato.

"Non ho fortuna, sorella", dicono alcune.

"Certo, certo... perché non fai qualcosa d'altro che la donna?"

Invece io non ho solo il solito fottomen in parte, ma, ripeto, un amico vero.

Siamo andati per monti e valli, sugli Appennini a trovare un medico che sa curare tutte le malattie.

Mi par di sentirvi: Tutte?

Tutte!

Capito bene, compari: Lourdes lo ha già accusato di concorrenza sleale.

Sono andata a trovare quello che ho detto: un uomo che con la sola dieta salva chi è “alle porte dell'abbandono!” come direbbe un lettore assiduo della Gazzetta dello Sport, a cui nulla è estraneo del vocabolario sportivo.

Io ho intuito, amici, mi pare di averlo già detto e quando le mie antenne che prendono galassie e galassie, intercettano un soggetto interessante io parto, io vado alla sua volta, vado a trovarlo.
L'ho sempre fatto fin da ragazzina, ho visto gente che fa miracoli, sono andata a vedere perfino Milingo, prima della notorietà, quando tirava fuori i diavoli dalle isteriche, ho visto pure un vero Illuminato, ho fatto chilometri per incontrare profeti, maghi e fattucchieri, non m'importa la realtà, la verità o la sincerità, m'importa che siano credibili. Mi annoiano solo gli ingenui, i puerili o i patetici. Ma non chiedo referenze, vado a vedere con i miei occhioni, neanche un po' daltonici e vedo la vita com'è, senza abbellirla, alterarla o abbruttirla.
Io sono una che corre sempre in direzione del rumore: campionessa mondiale dei mosca, campionessa di pattinaggio su strutto e cintura di flanella di judo.



Ergo, ho espletato la normale trafila, finché ho avuto un bell'apppuntamento con posto e ora simultanea. Via, alle calcagne del medico!
Finché dopo chilometri di perfetta solitudine in una strada strettissima, curva e a picco arriviamo in cima a un monte dove ci sono tre casupole fatte di pietra.

Devo confessarvi, miei buoni lettori, che ho pensato subito che lì una pizza non deve essere mai stata vista, che il Giro d'Italia non arriverà mai e che non c'era di sicuro la sede della società di pesca.

Ora, prima che andiate a dormire ricapitolo, come fa Shakespeare nelle sue tragedie, mette sempre uno che fa il sunto, ecco il mio: due tizi partono, vanno da un medico-asceta e arrivano non in una clinica con il nome scritto a caratteri romani, non è nemmeno una casa di cura di uno stimato luminare, ma un eremo di montagna con un filo elettrico tirato da fuori e l'acqua piovana raccolta per bere.



Trovo pecore, (anche una nera, allora esistono!) capre e api che cercano di impiombare la mia borsetta rosa credendola un mostruoso fiore. Mentre lottavo con un'altra ape che aveva scoperto sotto la mia gonna che avevo gli slip azzurri come i Nontiscordardimé, esce dal fondo della strada l'Uomo, come la pasta dentifricio dal tubo .

Lungo, magro, austero, barba e cappellaccio, ma con gli occhi innocenti. Dice che non ha la televisione, ma il computer. Suscita deferenza, unzione, compunzione e devozione.



Amici, nella vita tutto è basato sulla fiducia, a incominciare dalla carta-moneta, se sai dare la fiducia alla persona giusta fai passi avanti altrimenti aspetti fermo il tuo turno. Io gli do fiducia. Come a poker vado a vedere che carte in mano ha l'altro.

Mi domanda di dove sono, cosa faccio e che cosa conto di fare. Poi l'Invulnerabile mi ascolta senza avere l'aria di partecipare. Quando ho finito, un angosciante punto di domanda s'insinua fra noi come un verme in una pera.

Alla fine mi ferisce le orecchie: "In quel che mangi non ne azzecchi una, non so come fai a essere ancora viva."
Ah! Dolore, dolore incommmmensurabbbbile! Ho sofferto come quando un bambino mi ha voluto fare l'accopuntura: ha preso gli aghi dal set di cucito e il mio ginocchio sembrava un puntaspilli. Poi il piccolo dottore mi ha detto di tenerli per tutta la vita nel ginocchio che tanto ne aveva degli altri, mi ha dato una spinta che mi ha fatto fare tre metri senza fare un passo. Ricordo che quel bambino si chiamava Alonzo, che fa rima con qualcosa che non dico.

Sempre Alonzo, però, ha vinto la gara in velocità in bicicletta, perché ho srotolato 50 metri di filo di nylon trasparente con in fondo un tappo di champagne che gli ho cacciato in bocca.
Gli ho detto: “Tieni sempre la destra, 'onzo!” Lui non voleva, era uno corretto, era il fiero discendente di Carlo V, aveva le tubature dei nobili di Spagna! Io gli ho detto che il catechismo era nella Chiesa accanto. Poi ho rubato il motorino della nostra donna di servizio, l'Aldina, e l'ho tirato. Una scossa per partire, all'inizio aveva il collo allungato come una gallina impiccata sopra la bicicletta, ma poi, subito dopo, un Papa! Lui cercava di liberarsi di quell'esca, ma io avevo scommesso tutti i miei averi e volevo vincere. Per fortuna che la sua mascella di topo di campagna teneva il tappo. E in fondo in fondo poi gli piaceva quella trazione, era come nel vuoto, libero dalla pesantezza! Altro che doping! L'arcangela Samuela lo trascinava sulle sue ali dorate verso le vette. Faceva le salite a sessanta all'ora, se ci fosse stata la stampa, che ne so, il “Pedale della Sera” avrebbe scritto le solite fesserie: “Il Condor in un'irresistibile volata se ne ride dei crinali!” Gli ho fatto sorpassare tutti, non solo!, l'Alonzo, incredibile nella sua disinvoltura, volava con le mani libere!, senza neanche appoggiarle al manubrio, a ruota libera in salita!, sorpassava tutti, come in poltrona, gli altri che ondeggiavano il deretano, con la schiena arcuata, con la lingua sporgente, lanciavano grugniti, pedalavano nella colla!, lui no, liscio come l'olio, lui filava a fianco come una meteora! La folla sbalordita taceva! Sarebbe stato un grande momento nella storia del ciclismo, ragazzi! (A dir la verità, contemporaneamente a tutte queste disonestà, buttavo anche manciate di chiodi da tapezziere sulla sinistra: come un bravo contandino buttavo la semente per il mio raccolto)

L'Asceta ha partorito la mia dieta alla fine: “Appena alzata un bicchiere d'acqua con due gocce di limone, dopo un'ora due noci e un kiwi, a pranzo una manciata di lenticchie con zucca lessa, merenda: prugna secca; cena: uovo con marmellata”, lo ha detto piano e sicuro, l'Inscomponibile e io man mano diventavo livida, viola, verde e screziata.



Non è neanche umana una sola pietanza di quelle. Ma come? Così mi si coagula il pensiero, mi fiacca la retina, ti corrompe le coronarie, mi depancrea, mi estomacola, mi rotula, mi sbullona i muscoli e l'omoioideo. Di sicuro, fratelli, a mangiare 'sto roba ci si sente di colpo piccoli, mediocri, fallibili e provvisori.

Ho chiesto speranzosa che cosa avrei potuto chiedere al bar se andavo con i colleghi, con i clienti o con gli amici. Mi ha detto tranquillo: “Al bar chiedi un bicchiere di acqua calda, ma molto calda!”.

Ditemi, si può?

L'Immarciscibile infine: se farò così, entro ventiquattr'ore avrei recordizzato il mio potenziale estremistico e dovranno mettermi i cavalli di freisa di traverso per stopparmi.

Se avessi portato il Gonfio, vi assicuro una bella lunga e stretta amicizia sarebbe tosto andata a schifìo: “Con una dieta così risparmierei sulla carta igienica!”

Gli ho detto in tono acido, le vocali appuntite e le consonanti premute: “Essia, dottore! Berrò il mio calice amaro di acqua calda! Se sopravvivo a tutto ciò, un giorno passo di qui e le porto una scatola di cioccolatini.”

Ero partita fin lassù con slancio, brio, gioia e con i piedi frizzantini fuori dal finestrino, ritornavo caracollando risucchiata dalla valle, lanciata verso la pianura tutta massacrata.


Mentre noi due partivamo, arrivava fin lassù un plotone, raggruppatissimo, che si allungava come una fisarmonica appesa ad un chiodo. Erano gente che lo acclamava, lo aspirava, lo espettorava.

Latroppoamata, per fortuna, ha un vero amico con cui vagire, un amico che fruga nella mia anima come un bracco blu in un solco per trovare il mio dolore, lui, sì, conosce il suo mestiere fino al tappo della valvola: Piccola Santa, cosa ti addolora, ti offusca, ti esulcera?.

“Dài petrolio che una volta a casa diventerò una raccoglitrice di mughetti!”


In fondo, anche questo, è uno di quei momenti eccezionali nei quali anche nel dolore la vita è bella, facile e permanente. Guardandolo negli occhi ho la certezza di trovare intatto, un domani, la felicità di oggi: una fine di un fine che non finisce e che, tuttavia, un giorno finisce col finire.

E alla fin fine, vedrai, ce la saremo giocata bene questa rara estasi, Enri.
POVERI BAMBINI SOLI


Alcuni giovanissimi hanno ucciso. Perché?


SCHEDA TECNICA:

Nome: LUCA
Cognome: XXXX
Età: 17 ANNI
Professione: OPERAIO
Residenza: Brescia



Luca è adolescente, maschio e con un buco nero dentro.
Tre particolari spietati, duri e, nonostante l'apparenza, forse irreversibili.


Gli adolescenti non sono simpatici: hanno quella pettinatura da colpo di vento che li rende innaturali, hanno degli ostinati jeans che non si cambiano mai e hanno un corpo, una voce, un viso in divenire, l'armonia è lontana. Inoltre parlano per iperbole, se sono bresciani mettono il prefisso stra e possono passare dalla rabbia alla chiusura in un attimo. Ridono, se ridono, per ridarola, che è una reazione. Rara l'allegria, che è una conquista dei grandi, di chi si scosta dal centro della vita. Inoltre Luca è un maschio. Fosse stata una femmina sarebbe stato più facile parlare, avrebbe avuto una madre con cui arrabbiarsi, un padre che l'avrebbe difesa e tante amiche con cui sfogarsi. Un maschio no: parlare è difficile, le idee non sono chiare e quello che si sente è un misto di rabbia, vuoto e forti desideri sessuali.


I suoi genitori lavorano in attesa della vita vera, aspettano una svolta tra scadenze, bollette e orari fissi. Luca veniva a casa da scuola, aveva le chiavi ed apriva la porta già dalla terza elementare, si scaldava la pastasciutta, ma quando è stato più grande metteva su lui l'acqua.

Rimaneva solo in casa fino alle sei di sera. C'erano i compiti noiosi, c'erano gli amici fuori, una lotta infernale.
Alla sera sua madre ritornava sempre nervosa, stanca, era lui a proteggerla.


Poi rientrava il padre. Le famiglie si dividono in due tipologie, quelle che si stanno separando e quelle che litigheranno sempre. Molte le famiglie infelici, oggi: nessuno ha insegnato a loro come amarsi. Amarsi non è una faccenda spontanea. Molti litigano per anni interi, rinfacciandosi la fatica del vivere. Pochi quelli felici, pochi davvero.

La madre certe volte ha improvvisi scoppi d'amore, di colpo lo vuole amare, gli vuole fare il discorso importante, vuole vincere con un poker d'assi servito, ma Luca non può prendere nulla, non ha costruito la strada per introiettare qualcosa di caldo.



C'è una forma di perfezione dell'impotenza: totale, piatta e ineluttabile. E' come essere di notte, senza fari su d'un'auto in mezzo ai campi. Un'interminabile notte. Quand'era piccolo Luca c'era un faro, ma poi è diventato sempre più fioco. Ora è un pollo da batteria: la scuola chiede energie, aule triste come obitori, gli amici sono competitivi, le ragazzine più carine sono irraggiungibili. Un tempo c'era sempre una figura adulta che aiutava: un prete, uno zio allegro, un insegnante... Ma ora, da una parte c'è sempre un po' di paura nell'interessarsi ai giovani e, dall'altra, i grandi non stanno bene. Luca li vede: truppe di sfigati, gli insegnanti sono più infantili di loro: per farsi accettare fanno battute a scuola e fingono di divertirsi, i preti sono diventati irraggiungibili e giudicanti.



Rimangono ancora il padre e la madre, facce sfatte sotto gli occhiali, innocui, ma meticolosi, chiedono sempre della scuola, perché i voti sono un giudizio oggettivo e se vedono che fatica, dopo qualche scenata, cedono: lo mandano a lavorare, fingono di credere che sia solo per un periodo, poi si vedrà, intanto capirà qualcosa della vita, ma è un sollievo vederlo lavorare. Farà un lavoro duro, pagato poco, perché è giovane e a Luca nasce la sottile paura che nella vita non farà altro. Luca sta morendo e, come quando si sta annegando, fa gesti inconsulti, sfascerà le vetrine, ruberà per vedere se la sua furbizia è maggiore del sistema, si farà le pastiglie il sabato ed è ubriaco per tutto il fine settimana. Cerca l'adrenalina, che è un antidolorifico, invece sarà stritolato dai marpioni del business. I genitori, in genere, non si accorgono, non si accorgono mai di nulla proprio quei genitori che hanno i figli che stanno male.



Luca ha diciassette anni e a diciassette anni questo bambino non ha la possibilità di redimersi, perché, semplicemente, non ha neanche la possibilità di confessarsi.

Casa mia è un viavai di adolescenti. Forse uno come Luca è venuto. Non mi avrà guardata perché non sa ancora controllare la timidezza, gli avrò chiesto come sta e mi avrà detto un prevedibile bene. Certe volte chiedo a qualcuno di loro se si vuole fermare a mangiare con noi, lui dirà un no educato. Lo sono, sì, con chi lo sono, e io gli farò la battuta se è già girata voce che sono una pessima cuoca. Poi se ne andrà, dieci minuti di visita in genere è la media, perché poi si fa qualcosa. Dico sempre: ciao, torna presto. Il Luca di turno dirà: sì, grazie Signora. E come un cucciolo di dromedario dalle gambe troppo lunghe se ne andrà.
Luca e gli altri come lui, chi siete?





samuelasalvotti@gmail.com

Dalai Lama: “Ciò che mi sorprende di più sono gli uomini! Perché perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute, perché pensano tanto ansiosamente al futuro che dimenticano di vivere il presente, in maniera tale che non riescono a vivere né il presente, né il futuro, perché vivono come se non dovessero morire mai e perché muoiono come se non avessero mai vissuto”