sabato 16 maggio 2009

FELICE, COME CON UNA DONNA



"Nelle azzurre sere d'estate, me ne andrò per i sentieri,
punto dalle spighe, calpestando l'erba tenera:
sognando, ne sentirò ai mie piedi la freschezza.
Lascerò che il vento bagni la mia testa nuda.


Non parlerò, non penserò a nulla:
ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
e andrò lontano, molto lontano, come un vagabondo,
attraverso la Natura, felice come con una donna.”

RIMBAUD



Sono una delle poche donne al mondo che ha un amico vero. Lo so che tutte hanno tanti amici, ma se poi fanno un po' di pulizia, quando hanno buttato via metà carico, tutte scoprono che avevano in magazzino solo gente che vuole far tric e troc da anni con loro, uomini che arrivano all'incandescenza, al massimo grado di fusione, al punto di rottura per lunghi parossistici anni tirando sempre la cinghia e trasformano il biscotto in pangrattato.

"Non ho fortuna, sorella", dicono alcune.

"Certo, certo... perché non fai qualcosa d'altro che la donna?"

Invece io non ho solo il solito fottomen in parte, ma, ripeto, un amico vero.

Siamo andati per monti e valli, sugli Appennini a trovare un medico che sa curare tutte le malattie.

Mi par di sentirvi: Tutte?

Tutte!

Capito bene, compari: Lourdes lo ha già accusato di concorrenza sleale.

Sono andata a trovare quello che ho detto: un uomo che con la sola dieta salva chi è “alle porte dell'abbandono!” come direbbe un lettore assiduo della Gazzetta dello Sport, a cui nulla è estraneo del vocabolario sportivo.

Io ho intuito, amici, mi pare di averlo già detto e quando le mie antenne che prendono galassie e galassie, intercettano un soggetto interessante io parto, io vado alla sua volta, vado a trovarlo.
L'ho sempre fatto fin da ragazzina, ho visto gente che fa miracoli, sono andata a vedere perfino Milingo, prima della notorietà, quando tirava fuori i diavoli dalle isteriche, ho visto pure un vero Illuminato, ho fatto chilometri per incontrare profeti, maghi e fattucchieri, non m'importa la realtà, la verità o la sincerità, m'importa che siano credibili. Mi annoiano solo gli ingenui, i puerili o i patetici. Ma non chiedo referenze, vado a vedere con i miei occhioni, neanche un po' daltonici e vedo la vita com'è, senza abbellirla, alterarla o abbruttirla.
Io sono una che corre sempre in direzione del rumore: campionessa mondiale dei mosca, campionessa di pattinaggio su strutto e cintura di flanella di judo.



Ergo, ho espletato la normale trafila, finché ho avuto un bell'apppuntamento con posto e ora simultanea. Via, alle calcagne del medico!
Finché dopo chilometri di perfetta solitudine in una strada strettissima, curva e a picco arriviamo in cima a un monte dove ci sono tre casupole fatte di pietra.

Devo confessarvi, miei buoni lettori, che ho pensato subito che lì una pizza non deve essere mai stata vista, che il Giro d'Italia non arriverà mai e che non c'era di sicuro la sede della società di pesca.

Ora, prima che andiate a dormire ricapitolo, come fa Shakespeare nelle sue tragedie, mette sempre uno che fa il sunto, ecco il mio: due tizi partono, vanno da un medico-asceta e arrivano non in una clinica con il nome scritto a caratteri romani, non è nemmeno una casa di cura di uno stimato luminare, ma un eremo di montagna con un filo elettrico tirato da fuori e l'acqua piovana raccolta per bere.



Trovo pecore, (anche una nera, allora esistono!) capre e api che cercano di impiombare la mia borsetta rosa credendola un mostruoso fiore. Mentre lottavo con un'altra ape che aveva scoperto sotto la mia gonna che avevo gli slip azzurri come i Nontiscordardimé, esce dal fondo della strada l'Uomo, come la pasta dentifricio dal tubo .

Lungo, magro, austero, barba e cappellaccio, ma con gli occhi innocenti. Dice che non ha la televisione, ma il computer. Suscita deferenza, unzione, compunzione e devozione.



Amici, nella vita tutto è basato sulla fiducia, a incominciare dalla carta-moneta, se sai dare la fiducia alla persona giusta fai passi avanti altrimenti aspetti fermo il tuo turno. Io gli do fiducia. Come a poker vado a vedere che carte in mano ha l'altro.

Mi domanda di dove sono, cosa faccio e che cosa conto di fare. Poi l'Invulnerabile mi ascolta senza avere l'aria di partecipare. Quando ho finito, un angosciante punto di domanda s'insinua fra noi come un verme in una pera.

Alla fine mi ferisce le orecchie: "In quel che mangi non ne azzecchi una, non so come fai a essere ancora viva."
Ah! Dolore, dolore incommmmensurabbbbile! Ho sofferto come quando un bambino mi ha voluto fare l'accopuntura: ha preso gli aghi dal set di cucito e il mio ginocchio sembrava un puntaspilli. Poi il piccolo dottore mi ha detto di tenerli per tutta la vita nel ginocchio che tanto ne aveva degli altri, mi ha dato una spinta che mi ha fatto fare tre metri senza fare un passo. Ricordo che quel bambino si chiamava Alonzo, che fa rima con qualcosa che non dico.

Sempre Alonzo, però, ha vinto la gara in velocità in bicicletta, perché ho srotolato 50 metri di filo di nylon trasparente con in fondo un tappo di champagne che gli ho cacciato in bocca.
Gli ho detto: “Tieni sempre la destra, 'onzo!” Lui non voleva, era uno corretto, era il fiero discendente di Carlo V, aveva le tubature dei nobili di Spagna! Io gli ho detto che il catechismo era nella Chiesa accanto. Poi ho rubato il motorino della nostra donna di servizio, l'Aldina, e l'ho tirato. Una scossa per partire, all'inizio aveva il collo allungato come una gallina impiccata sopra la bicicletta, ma poi, subito dopo, un Papa! Lui cercava di liberarsi di quell'esca, ma io avevo scommesso tutti i miei averi e volevo vincere. Per fortuna che la sua mascella di topo di campagna teneva il tappo. E in fondo in fondo poi gli piaceva quella trazione, era come nel vuoto, libero dalla pesantezza! Altro che doping! L'arcangela Samuela lo trascinava sulle sue ali dorate verso le vette. Faceva le salite a sessanta all'ora, se ci fosse stata la stampa, che ne so, il “Pedale della Sera” avrebbe scritto le solite fesserie: “Il Condor in un'irresistibile volata se ne ride dei crinali!” Gli ho fatto sorpassare tutti, non solo!, l'Alonzo, incredibile nella sua disinvoltura, volava con le mani libere!, senza neanche appoggiarle al manubrio, a ruota libera in salita!, sorpassava tutti, come in poltrona, gli altri che ondeggiavano il deretano, con la schiena arcuata, con la lingua sporgente, lanciavano grugniti, pedalavano nella colla!, lui no, liscio come l'olio, lui filava a fianco come una meteora! La folla sbalordita taceva! Sarebbe stato un grande momento nella storia del ciclismo, ragazzi! (A dir la verità, contemporaneamente a tutte queste disonestà, buttavo anche manciate di chiodi da tapezziere sulla sinistra: come un bravo contandino buttavo la semente per il mio raccolto)

L'Asceta ha partorito la mia dieta alla fine: “Appena alzata un bicchiere d'acqua con due gocce di limone, dopo un'ora due noci e un kiwi, a pranzo una manciata di lenticchie con zucca lessa, merenda: prugna secca; cena: uovo con marmellata”, lo ha detto piano e sicuro, l'Inscomponibile e io man mano diventavo livida, viola, verde e screziata.



Non è neanche umana una sola pietanza di quelle. Ma come? Così mi si coagula il pensiero, mi fiacca la retina, ti corrompe le coronarie, mi depancrea, mi estomacola, mi rotula, mi sbullona i muscoli e l'omoioideo. Di sicuro, fratelli, a mangiare 'sto roba ci si sente di colpo piccoli, mediocri, fallibili e provvisori.

Ho chiesto speranzosa che cosa avrei potuto chiedere al bar se andavo con i colleghi, con i clienti o con gli amici. Mi ha detto tranquillo: “Al bar chiedi un bicchiere di acqua calda, ma molto calda!”.

Ditemi, si può?

L'Immarciscibile infine: se farò così, entro ventiquattr'ore avrei recordizzato il mio potenziale estremistico e dovranno mettermi i cavalli di freisa di traverso per stopparmi.

Se avessi portato il Gonfio, vi assicuro una bella lunga e stretta amicizia sarebbe tosto andata a schifìo: “Con una dieta così risparmierei sulla carta igienica!”

Gli ho detto in tono acido, le vocali appuntite e le consonanti premute: “Essia, dottore! Berrò il mio calice amaro di acqua calda! Se sopravvivo a tutto ciò, un giorno passo di qui e le porto una scatola di cioccolatini.”

Ero partita fin lassù con slancio, brio, gioia e con i piedi frizzantini fuori dal finestrino, ritornavo caracollando risucchiata dalla valle, lanciata verso la pianura tutta massacrata.


Mentre noi due partivamo, arrivava fin lassù un plotone, raggruppatissimo, che si allungava come una fisarmonica appesa ad un chiodo. Erano gente che lo acclamava, lo aspirava, lo espettorava.

Latroppoamata, per fortuna, ha un vero amico con cui vagire, un amico che fruga nella mia anima come un bracco blu in un solco per trovare il mio dolore, lui, sì, conosce il suo mestiere fino al tappo della valvola: Piccola Santa, cosa ti addolora, ti offusca, ti esulcera?.

“Dài petrolio che una volta a casa diventerò una raccoglitrice di mughetti!”


In fondo, anche questo, è uno di quei momenti eccezionali nei quali anche nel dolore la vita è bella, facile e permanente. Guardandolo negli occhi ho la certezza di trovare intatto, un domani, la felicità di oggi: una fine di un fine che non finisce e che, tuttavia, un giorno finisce col finire.

E alla fin fine, vedrai, ce la saremo giocata bene questa rara estasi, Enri.

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